Le fasi di vita: l’archivio di deposito e l’archivio storico
Dopo aver descritto la fase corrente di vita di un archivio, passiamo a esaminare le successive e non meno rilevanti fasi di esistenza che lo caratterizzano.
In quella che si definisce di deposito, i documenti relativi agli affari conclusi vanno mantenuti a memoria delle attività svolte ma non sono più necessari alle attività quotidiane dei soggetti produttori. Spesso questa fase corrisponde anche ad uno spostamento fisico della documentazione in altro luogo e deve contemplare una selezione del materiale da conservare prima di passare alla fase successiva. Al termine di questa fase avviene cioè quello che in gergo si chiama “lo scarto”.
Lo scarto o selezione conservativa consiste nel selezionare i documenti da conservare in vista dell’ultima fase, in cui l’archivio diventa storico.
La necessità che viene considerata come fondamentale è di operare una selezione privilegiando i documenti che possono essere rilevanti ai fini della ricerca storica, non potendo certo conservare tutti quelli prodotti da un singolo ufficio o un ente, in modo da non appesantire l’archivio storico con documenti poco significativi e da non riempire tutto lo spazio a disposizione.
L’ultima fase di vita dell’archivio è quella nella quale la documentazione ha completamente esaurito il suo ruolo attivo, può essere destinata alla conservazione permanente e divenire un archivio storico. Essa acquisisce il valore fondamentale di memoria storica, tutelata dalla legge per gli affari delle amministrazioni ed enti pubblici e privati . Questi archivi possono essere concentrati in istituti adibiti alla conservazione oppure rimanere presso il produttore: è questo è il caso di molti archivi privati.
In questo frangente l’archivista diventa il custode della memoria dell’ente, il responsabile della sua corretta conservazione e una vera e propria “chiave d’accesso” al materiale quando l’archivio è aperto al pubblico. È un ruolo molto importante in quanto l’archivista, profondo conoscitore è il produttore degli strumenti descrittivi che forniscono l’accesso ai documenti tramite la redazione degli inventari.
Con il progresso della tecnologia e le trasformazioni in atto, anche di natura giuridica, oggi gli archivi nascono per lo più digitali e queste differenziazioni stanno perdendo significato in virtù di sistemi informatici, anche diversi, che organizzano i documenti dalla nascita alla conservazione permanente in una sorta di continuum. I rischi e le responsabilità connesse alla raccolta e sedimentazione di questo tipo di documenti, molto più fragili, se vogliamo, rispetto alla carta, proietta il mestiere dell’archivista nella dimensione di record manager.
Di fatto attualmente noi ci troviamo in una sorta di fase ibrida, in cui parte della documentazione viene ancora prodotta in analogico e parte invece nasce in digitale e parte non lo è del tutto archivi del prodotto.
L’archivista quindi riveste un ruolo sempre più rilevante in tutte le fasi di vita dell’archivio che poi si condensano in quel continuum che ne determina la nascita, l’esistenza e il tramandarsi ai posteri.
In quella che si definisce di deposito, i documenti relativi agli affari conclusi vanno mantenuti a memoria delle attività svolte ma non sono più necessari alle attività quotidiane dei soggetti produttori. Spesso questa fase corrisponde anche ad uno spostamento fisico della documentazione in altro luogo e deve contemplare una selezione del materiale da conservare prima di passare alla fase successiva. Al termine di questa fase avviene cioè quello che in gergo si chiama “lo scarto”.
Lo scarto o selezione conservativa consiste nel selezionare i documenti da conservare in vista dell’ultima fase, in cui l’archivio diventa storico.
La necessità che viene considerata come fondamentale è di operare una selezione privilegiando i documenti che possono essere rilevanti ai fini della ricerca storica, non potendo certo conservare tutti quelli prodotti da un singolo ufficio o un ente, in modo da non appesantire l’archivio storico con documenti poco significativi e da non riempire tutto lo spazio a disposizione.
L’ultima fase di vita dell’archivio è quella nella quale la documentazione ha completamente esaurito il suo ruolo attivo, può essere destinata alla conservazione permanente e divenire un archivio storico. Essa acquisisce il valore fondamentale di memoria storica, tutelata dalla legge per gli affari delle amministrazioni ed enti pubblici e privati . Questi archivi possono essere concentrati in istituti adibiti alla conservazione oppure rimanere presso il produttore: è questo è il caso di molti archivi privati.
In questo frangente l’archivista diventa il custode della memoria dell’ente, il responsabile della sua corretta conservazione e una vera e propria “chiave d’accesso” al materiale quando l’archivio è aperto al pubblico. È un ruolo molto importante in quanto l’archivista, profondo conoscitore è il produttore degli strumenti descrittivi che forniscono l’accesso ai documenti tramite la redazione degli inventari.
Con il progresso della tecnologia e le trasformazioni in atto, anche di natura giuridica, oggi gli archivi nascono per lo più digitali e queste differenziazioni stanno perdendo significato in virtù di sistemi informatici, anche diversi, che organizzano i documenti dalla nascita alla conservazione permanente in una sorta di continuum. I rischi e le responsabilità connesse alla raccolta e sedimentazione di questo tipo di documenti, molto più fragili, se vogliamo, rispetto alla carta, proietta il mestiere dell’archivista nella dimensione di record manager.
Di fatto attualmente noi ci troviamo in una sorta di fase ibrida, in cui parte della documentazione viene ancora prodotta in analogico e parte invece nasce in digitale e parte non lo è del tutto archivi del prodotto.
L’archivista quindi riveste un ruolo sempre più rilevante in tutte le fasi di vita dell’archivio che poi si condensano in quel continuum che ne determina la nascita, l’esistenza e il tramandarsi ai posteri.